IMPATTO DELLO SCI
FUORI PISTA
SULLA FAUNA ALPINA
Luca Rotelli
testo tratto dal
sito della Sezione CAI di
Villadossola
Sfruttamento della montagna a fini turistici
Sulle Alpi, se da un lato abbiamo assistito,
nel corso degli ultimi decenni, al declino delle
attivita' tradizionali, come quelle agro-pastorali,
dall'altro siamo stati testimoni dello sviluppo
rapido e a volte incontrollato delle attivita'
turistiche. Cio' fa si che le piu' spesso con quelle
di conservazione degli ambienti naturali in cui
queste persone svolgono la loro attivita'.
Secondo l'Istituto di Scienze Economiche per il
Turismo dell'Universita' di Monaco di Baviera, le
Alpi rappresentano oggi la piu' grande area naturale
del mondo a fini turistici anche a seguito
dell'apparire e diffondersi negli ultimi 30 anni di
tutta una nuova serie di attivita' sportive che
possono essere praticate quasi esclusivamente in
questo ambiente (arrampicata sportiva, scialpinismo, mountainbike, rafting). L'ondata di turisti, che in
ogni stagione visita le Alpi, porta con se' tutta una
serie di conseguenze negative. Gli animali non solo
perdono gran parte del loro habitat a causa della
costruzione di insediamenti urbani, vie di
comunicazione e piste di sci, ma devono con maggiore
frequenza evitare la presenza dell'uomo, che penetra
sempre piu' massicciamente nei loro ambienti.
Se fino a pochi anni fa le attivita' con maggiore
impatto ambientale erano quelle che prevedevano la
costruzione di infrastrutture, come lo sci alpino
con piste e impianti, oggi viene messa in
discussione anche la pratica di quelle attivita'
definite praticanti. Le ripercussioni di questa ed
altre attivita' ricreative sugli ecosistemi alpini e
in particolar modo sulla componente faunistica sono
oggetto di ricerche gia' da alcuni anni. Scopo di
queste ricerche e' stabilire come gli animali
reagiscono alle condizione, tanto del singolo
individuo, quanto dell'intera popolazione della
specie fuori pista.
L'attivita' dello sci fuori pista e' praticata da due
categorie di sciatori:
o lo sciatore fuori pista propriamente detto
o lo sci alpinista
La differenza sostanziale tra questi due gruppi di
sciatori sta nei fatto che il primo svolge la
propria attivita' in prossimita' delle stazioni
sciistiche, di cui utilizza i mezzi di risalita per
portarsi a monte, effettuando poi la discesa lungo
itinerari alternativi (fuori pista) alle piste
tracciate e segnalate. Lo sciatore, non
sobbarcandosi la fatica della risalita, ha la
possibilita' di effettuare un gran numero di discese,
svolgendo un'azione di disturbo prolungata.
Lo scialpinista invece e' slegato da qualsiasi
infrastruttura di trasporto ed affronta la salita
grazie alla possibilita' di fissare sotto gli sci le
pelli di foca, che gli permettono di affrontare la
fatica della salita, che solitamente ha la durata di
diverse ore, lo scialpinista raramente e' in grado di
svolgere piu' di una discesa al giorno, cio' che
riduce parzialmente l'effetto negativo di questa
attivita'. D'altro canto con l'utilizzo di questa
tecnica e' possibile arrivare praticamente ovunque, e
quindi anche in localita' rimaste ancora indisturbate
e per questo scelte dalla fauna come zona di
soggiorno.
Il numero sempre maggiore di praticanti di questa
attivita' (la CIPRA stima attualmente la presenza di
almeno 100.000 scialpinisti sulle Alpi, mentre il
numero di praticanti di questa attivita' a nord delle
Alpi e' aumentato del 400% negli ultimi quindici
anni), fa si che sempre piu' zone vengano frequentate
in maniera massiccia, riducendo ancor piu' le zone
indisturbate per la fauna. Piu' avanti in questa
relazione, comunque, useremo il termine sci fuori
pista in senso generico per indicare qualsiasi
discesa a valle al di fuori delle piste preparate e
segnate, sia esse compiuta da scialpinisti che da
sciatori fuoripista.
Cenni
sull'ecologia della fauna alpina in inverno
Il superamento della fase invernale
rappresenta il momento piu' difficile nella vita di
un animale di montagna. In ambiente alpino infatti,
l'inverno rappresenta un importante elemento
selettivo, sia per le basse temperature e
l'abbondante coltre nevosa, sia per la mancanza di
nutrimento sufficientemente ricco dal punto di vista
energetico. Cio' nonostante, un fagiano di monte e un
camoscio sono in grado di vivere abbastanza
agevolmente in queste condizioni a patto di poter
godere della tranquillita' e di poter usufruire a
proprio piacimento dell'ambiente che li circonda. I
grossi erbivori, in particolare stambecco e
camoscio, accumulano abbondanti strati di grasso
durante l'estate, che possono costituire anche 1/5
del peso dell'animale all'inizio dell' inverno, e
che utilizzano poi durante i periodi piu'
sfavorevoli. Per i piccoli animali invece, e tra
questi gli uccelli, non e' possibile accumulare
grossi quantitativi di grasso. Per questo motivo le
riserve vengono ben presto esaurite durante i
periodi piu' difficili se non possono essere
reintegrate con continua di nutrimento. Cosi' le
riserve di una pernice bianca durano appena due
giorni. Per non morire di fame essa deve riempire il
proprio gozzo almeno una volta al giorno.
Tetraonidi
Durante l'inverno un fagiano di monte o una
pernice bianca devono economizzare al massimo le
loro energie, in quanto un dispendio energetico
eccessivo (come quello provocato da una fuga
improvvisa causata dal passaggio di uno sciatore
fuori pista) non puo' essere reintegrato facilmente
con la continua assunzione di cibo, a causa
dell'estrema poverta' di elementi nutritivi di cui
questo e' caratterizzato, e della particolarita' del
sistema digerente che e' in grado di metabolizzare il
contenuto del gozzo (che nel fagiano di monte ha una
capacita' di circa 120 g.), unicamente per due volte
al giorno. La riduzione del dispendio energetico
avviene trascorrendo nella piu' assoluta immobilita'
la maggiore parte del giorno (nella fase centrale
dell'inverno oltre 20 ore al giorno). Se inoltre,
sul terreno e' presente una coltre nevosa di almeno
30-40 cm di spessore, costituita da neve farinosa, i
fagiani e le pernici scavano delle cavita'
all'interno delle quali si possono avere temperature
di 20-25°C superiori alle condizioni ambientali
esterne, cio' che permette un notevole risparmio
energetico. Un fagiano dopo aver trascorso la notte
in una di queste cavita', appena a fare chiaro, esce
dal suo "igloo" per andare alla ricerca di cibo per
circa un'ora. Dopo di che si rituffa nella neve per
ricostruire una nuova cavita' nella quale passera' il
resto della giornata, per uscire nuovamente prima di
sera, per un altro periodo di ricerca di nutrimento.
E cosi' via. Oltre adattamento comportamentale che ha
lo scopo di ridurre il dispendio energetico con
un'attivita' ridotta, vi sono anche adattamenti morfo-anatomo-fisologici che rendono questi uccelli
particolarmente adatti al rigido ambiente invernale.
La forma tozza e raccolta riduce notevolmente la
dispersione di calore; la particolare struttura
delle piume dotate di un vessillo secondario aumenta
lo spessore del piumaggio e da vita a sacche d'aria
che formano uno strato isolante tutto intorno al
corpo dell'uccello; i fori nasali e le zampe
completamente piumate, e delle scagliette cornee ai
lati delle dita che aumentano la superficie plantare
per non sprofondare eccessivamente nella neve,
rappresentano ulteriori adattamenti specifici
all'ambiente invernale. Nell'ambito della famiglia
dei tetraonidi, anche il sistema digerente presenta
delle caratteristiche molto particolari, soprattutto
per quanto riguarda l'estremo sviluppo degli
intestini ciechi all'interno dei quali avviene la
digestione dei vegetali particolarmente ricchi di
fibre grezze, che rappresentano la maggiore parte
del nutrimento invernale. Ricordiamo a questo
proposito, senza entrare nei particolari, come per
il fagiano di monte i germogli di mirtillo nero,
cosi' come le foglie e le gemme di rododendro
costituiscono il nutrimento principale nella
maggiore parte delle regioni alpine frequentate da
questo tetraonide. Durante l'inverno, quando la
coltre nevosa diventa via via piu' spessa, i fagiani
sono costretti a nutrirsi sugli alberi. Come
complemento alle ericacee, vengono utilizzate specie
come il larice (di gran lunga preferito), il pino
cembro, il sorbo degli uccellatori, mentre l'abete
rosso, benche' molto diffuso sull'arco alpino, non
assume mai un ruolo molto importante. In generale,
le piante di cui si nutre il fagiano di monte non
vengono consumate in relazione alla loro
disponibilita', ma piuttosto in funzione dell'energia
trasferibile, utilizzabile dall'uccello, che esse
offrono.
Tutti questi adattamenti permettono, da un lato, di
economizzare al massimo le proprie energie e
dall'altro di sfruttare al meglio le risorse
alimentari presenti che, se hanno un valore
nutritivo piuttosto basso, almeno sono disponibili
in quantita' sufficiente anche in pieno inverno.
Ungulati
Per gli ungulati il bilancio energetico
durante l'inverno e' spesso negativo, come un
nutrimento qualitativamente scadente, un bilancio
energetico positivo non e' spesso possibile.
L'ottimizzazione del bilancio energetico si basa
pertanto soprattutto sulla riduzione delle possibile
perdite energetiche, attraverso una riduzione
considerevole dell'attivita'. Essi fanno cio' cercando
quei luoghi in cui il nutrimento e' accessibile con
il minimo dispendio energetico. Questo viene
determinato in primo luogo dalla quantita' di neve
presente sul terreno: uno scarso innevamento
permette loro di liberare il nutrimento con le
zampe, inoltre la loro mobilita' non viene impedita
eccessivamente. Il nutrimento raggiungibile in
questi luoghi non e' caratterizzato tanto da una
particolare qualita', e' piuttosto la quantita' a
disposizione che rende questi luoghi attrattivi. Uno
dei piu' importanti e significativi adattamenti dei
ruminanti alle difficili condizioni invernali e' che
durante l'inverno non solo il fabbisogno energetico
viene ridotto, ma anche l'assunzione di nutrimento.
Infatti la capacita' del rumine viene notevolmente
ridotta durante !a cattiva stagione. Questo
cambiamento e' determinato da un orologio interno,
come e' stato osservato con caprioli in cattivita'
tenuti a temperature costanti e con ricca
disponibilita' di nutrimento. Tale adattamento
diventa problematico se un animale viene spesso
disturbato e a causa dell'aumento del dispendio
energetico aumenta anche il fabbisogno alimentare.
Anche se fosse disponibile una quantita' maggiore di
cibo, essa non potrebbe essere digerita, perche'
l'animale non e' in grado di modificare il suo
sistema digerente.
Molti disturbi, meno possibilita' di
sopravvivenza
Pensiamo a quali effetti gli sciatori fuori
pista possono avere su un branco di camosci, se
questi vengono spaventati nelle loro zone ottimali
di svernamento, e vengono costretti a fuggire.
Pensiamo alle conseguenze energetiche della fuga:
muoversi nella neve costa molta energia, ed il
dispendio energetico aumenta notevolmente con
l'aumentare dell'altezza del manto nevoso. Durante
la fuga i camosci sono sottoposti ad una situazione
di stress, e la loro frequenza cardiaca aumenta
considerevolmente. In questa situazione essi non
sono neppure in grado di assumere nutrimento per
riacquistare le energie perdute. Per piu' molto
spesso la fuga conduce in zone che offrono
nutrimento di pessima qualita' (soprasuoli forestali
molto fitti). Camosci indisturbati, come del resto
tutti i componenti della fauna alpina, scelgono le
zone di svernamento in modo che queste offrano loro
sempre le migliori condizioni nei confronti della
disponibilita' di nutrimento, della protezione dagli
agenti atmosferici
zone la loro richiesta energetica aumenta, e sono
costretti a reintegrare le energie perdute a prezzi
di sforzi considerevoli. Questi disturbi
significano, tanto per il singolo individuo quanto
per la popolazione colpita, che tutti i raffinati
adattamenti sviluppati nel corso della loro
evoluzione non sono piu' sufficienti, e quindi la possibilita' di superare l'inverno si riduce.
Relazione tra fuga e assunzione di
nutrimento
1.
Fuga ed eccitazione richiedono energia, e questa
deve essere notevolmente rigenerata.
Conseguenza:
il fabbisogno
energetico aumenta.
Per motivi fisiologici, durante l'inverno non puo'
essere digerito piu' nutrimento di conseguenza
l'energia spesa puo'
venire reintegrata solo parzialmente.
2.
Durante la fuga e in stato di eccitazione non e'
possibile alcuna assunzione di nutrimento.
Conseguenza:
l'energia
spesa non puo' venire reintegrata.
3.
In seguito ai disturbi antropici gli animali vengono
scacciati dalle loro zone preferenziali di
svernamento.
Conseguenza:
minore qualita'
e quantita' del nutrimento a disposizione.
Nelle nuove zone di soggiorno molto spesso non c'e'
sufficiente riparo nei confronti di altri fattori
negativi, come predatori e agenti atmosferici
(vento, basse temperature)
Conseguenza: l'energia e con questa il fabbisogno
energetico aumentano.
Effetti sul singolo individuo
Quando l'aumentato fabbisogno di nutrimento
non puo' essere soddisfatto, e le riserve di grasso
si sono esaurite, la condizione dell'individuo
peggiora.
Effetti sulla popolazione
Gli effetti sul singolo individuo possono a
lungo andare ripercuotersi negativamente sulla
popolazione.
Conseguenza:
la
capacita' riproduttiva diminuisce, e nello stesso
tempo la predisposizione a malattie, cosi' come la mortalita', aumentano.
Effetti sul bosco
Se il fabbisogno energetico e quindi di
nutrimento aumenta, e nello stesso tempo il
nutrimento a disposizione si riduce
qualitativamente, allora
aumentano i danni da
brucamento alla rinnovazione forestale.
Provvedimenti da adottare per ridurre
il disturbo provocato dalla pratica dello sci fuori
pista alla fauna selvatica
Gia' da
diversi anni, in diversi paesi dell'arco alpino si
stanno prendendo provvedimenti per ridurre il
disturbo causato alla fauna dagli sciatori fuori
pista. Soprattutto nei paesi di lingua tedesca,
Svizzera, Austria e Germania queste azioni di tutela
sono oggi diffuse in molte regioni montane dove
l'attivita' dello scialpinismo ha preso decisamente
piede Tra i provvedimenti piu' utilizzati vi e' la
creazione di zone di rifugio per la fauna, dove
l'attivita' scialpinistica viene proibita. La
creazione di queste zone deve essere comunicata nel
giusto modo tanto agli abitanti della regione, dove
la misura e' stata adottata, quanto ai turisti, che
si trovano nella regione luogo (ad esempio
all'inizio dell'itinerario scialpinistico), e
un'informazione piu' approfondita, che dia
spiegazioni sul senso e sull'obiettivo
dell'iniziativa, fornita del settore e cosi via.
Nelle localita' interessate e' necessaria la messa sul
terreno di cartelli che informino sulla dislocazione
delle zone da tutelare e degli itinerari scialpinistici permessi. Inoltre devono essere
impartite alcune regole di restrizioni, purche' venga
spiegato loro il significato di questi
provvedimenti. Il rispetto di questa misura di
tutela e il corrispondente comportamento degli sci
alpinisti possono essere ottenuti esclusivamente
facendo leva sulla presa di coscienza del problema
da parte del singolo individuo. Questi risultati non
possono essere raggiunti ne' con divieti ne' con
ordinanze, ma piuttosto dando indicazioni precise e
motivate su come comportarsi.
A questo proposito:
o l'istituzione di queste zone deve essere sempre
motivata da reali condizioni di necessita' per la
fauna;
o ogni gruppo di fruitori deve mantenere la
possibilita' di potere esercitare la propria
attivita', anche se in forma regolamentata;
o per il turista che rimane solo pochi giorni nel
luogo di soggiorno, spesso le informazioni apprese
dai cartelli non sono sufficienti per comprendere il
problema, e' pertanto necessario fornire loro
adeguate conoscenze dello svolgimento dei numerosi
corsi di avvicinamento e di perfezionamento alle
diverse discipline tecniche da parte delle sezioni
locali del C.A.I.
Una maggiore comprensione per l'accettazione di
queste restrizioni puo' essere raggiunta solo con una
campagna di informazione piu' capillare, che cominci
ancora prima di partire per la localita' scelta come
luogo dell'escursione. Da qui l'importanza di
associazioni come il C.A.I., a cui la maggior parte
dei frequentatori della montagna e' iscritta, nel
divulgare questi aspetti. Sulle Alpi gli itinerari sciapinistici sono migliaia. La possibilita' di
marcare itinerari per incanalare il flusso degli scialpinisti lungo determinati percorsi, al fine di
evitate zone di particolare importanza per la fauna,
non sembra una misura che puo' essere adottata
ovunque. Il rispetto di certe zone, importanti per
la fauna d'inverno, potrebbe tuttavia essere
raggiunto anche in altro modo. Esistono ad esempio
carte su cui vengono riportati gli itinerari sci alpinistici che potrebbero essere riviste
criticamente in funzione del grado di disturbo che i
diversi itinerari arrecano alla fauna, svernamento.
Inoltre queste zone potrebbero essere indicate su
tali carte in modo che lo scialpinista le possa
immediatamente individuare. In ogni caso il sistema
piu' opportuno per ridurre in modo sostanziale
l'impatto di questa attivita' sembra essere
problematiche) sulle possibili conseguenze che la
loro presenza in ambienti tanto delicati puo' avere.
L'effettuazione di campagne di informazione per scialpinisti e a maturare una maggiore
consapevolezza del possibile impatto che l'attivita' scialpinistica puo' avere, ottenendo nello stesso
tempo una maggiore comprensione per tutti i
provvedimenti presi, limitanti lo svolgimento di
questa disciplina.
La maggior parte delle persone avverte infatti la
necessita' di comportarsi in maniera rispettosa
dell'ambiente anche nelle localita' dove trascorre il
proprio tempo libero, ma molto spesso non sa in che
modo.
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